Nato a Palmanova nel 1762, Bison si forma a Venezia a contatto con le opere dei grandi maestri del Settecento, quali Tiepolo, Canaletto e Guardi. In un’importante realtà artistica come quella veneziana, i suoi interventi nelle decorazioni ad affresco appaiono sempre in sottordine, ciò nondimeno egli si distingue come collaboratore di artisti più rinomati, quali ad esempio Costantino Cedini. Se in tali interventi, che risalgono all’ultimo decennio del Settecento, l’artista tiene ruoli di subordine, è nella terraferma – a Padova in palazzo Maffetti Manzoni, a Breda di Piave in villa Spineda o a Treviso in casa Soderini – che egli può liberare il proprio estro in lavori di più ampio respiro, condotti in piena autonomia.
Conclusasi nel 1797 l’esperienza secolare della Serenissima Repubblica di Venezia, Bison si trasferisce a Trieste verso il 1802, qui diviene presto un punto di riferimento all’interno del panorama artistico locale, in virtù delle decorazioni ad affresco eseguite in palazzo Carciotti, in palazzo della Borsa vecchia, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, in casa Griot e in casa Rusconi, queste ultime sfortunatamente perdute. Di questi interessanti cicli decorativi ad affresco, l’esposizione offre una rassegna di immagini proiettate su video, frutto di recenti campagne fotografiche.
Nel corso della sua quasi trentennale presenza in città, Bison si distingue per un non comune eclettismo, sostenuto da una varietà d’interessi che lo conduce a cimentarsi nella riproposizione di soggetti mitologici o allegorici, di storia antica o contemporanea e devozionali. Se tale varietà d’interessi si registra nella produzione ad affresco, essa ritorna, e con maggior forza, in quella da cavalletto. Nel nuovo emporio commerciale sostenuto dagli Asburgo, il pittore infatti si adopera anche, e soprattutto, nella produzione di dipinti con Vedute, Paesaggi e Capricci: quadretti caratterizzati perlopiù da una pennellata vibrante e una cromia fresca e luminosa, dove l’ariosa dimensione del paesaggio si affianca a scorci di Venezia inequivocabilmente legati alla passata moda del Grand Tour.
A Trieste egli si misura con il ‘mondo novo’ di una borghesia, diversa dall’ormai decaduto patriziato veneziano della fine del Settecento, pragmatica e desiderosa di «evocazioni del passato non suo e varietà di costumi esotici che la distraggano dal mercatare quotidiano». Si tratta di una realtà commerciale, dove la clientela preferisce acquisire dipinti di formato ridotto piuttosto che ampie tele, in sintonia con il nascente gusto Biedermeir. In questo senso Bison apparve subito “un pittore per Trieste”, capace di esprimersi al meglio nella pittura a tempera, di piccolo formato. Di quelle tempere, ricorda Giuseppe Caprin ne I nostri nonni, egli ne realizzava una al giorno e il noto caffettiere Tomaso Marcato per ciascuna gli garantiva uno zecchino d’oro.
In breve tempo egli conquistò il collezionismo locale, anzi quasi lo creò e sicuramente lo stimolò, offrendo una produzione particolarmente apprezzata dai “signori” triestini, le cui dimore, all’epoca, abbondavano di sue opere.
Come sottolinea l’assessore alla cultura Franco Miracco nella sua introduzione al catalogo che accompagna la mostra, edito da Marsilio, “comprendere l’apprezzamento per la pittura di Bison significa entrare in questa dinamica di mercato e di storia del gusto che facilita gli storici nel porre in luce aspetti sociali, e non soltanto estetici, che si andavano consolidando nel fiorente emporio triestino. Altresì significa valorizzare i musei che custodiscono molte delle opere dell’artista, in primis il Civico Museo Revoltella e, in seconda battuta, i Civici Musei di Trieste.”
Il Museo Sartorio, sede della mostra, è una di queste dimore, che ancora oggi testimonia la transizione dal Neoclassico al Biedermeir. Qui vi si conserva, oltre alle due fantasiose sopraporte, il numero più cospicuo di tempere di Bison attualmente in collezioni pubbliche; queste, insieme a quelle del Museo Revoltella e a quelle gentilmente prestate dalla Fondazione CRTrieste, dalla Fondazione Palazzo Coronini Cronberg di Gorizia, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e da alcuni collezionisti privati, costituiscono il corpus di opere presenti in mostra: novanta dipinti, realizzati perlopiù durante il suo periodo triestino, suddivisi in sezioni tematiche, ai quali si aggiugono alcuni disegni di Giambattista Tiepolo, a conferma del legame, mai reciso, di Bison con la tradizione figurativa lagunare.
Questa prima esposizione monografica che il Comune di Trieste dedica al pittore è anche un atto di riconoscenza verso chi, quella città, destò alla vita delle arti figurative nei primissimi anni dell’Ottocento, importandovi gli ultimi bagliori di quella straordinaria civiltà figurativa che fu il Settecento veneziano, i cui più alti esponenti rispondono al nome di Canaletto, Tiepolo, Guardi e Piranesi.
Scrive il professor Giuseppe Pavanello, ordinario di storia dell’arte moderna dell’Università di Trieste e promotore, assieme all’assessore alla cultura del Comune Franco Miracco, della mostra dedicata a Giuseppe Bernardino Bison: “Con questa mostra si conclude un lungo percorso, iniziato una trentina d’anni fa - dopo il pionieristico volume della triestina Carolina Piperata - che ha portato a riconoscere Giuseppe Bernardino Bison quale uno dei maestri della pittura veneziana e veneta dell’età neoclassica: l’ultimo esponente (ed erede) di una tradizione secolare, da lui fatta rivivere sin dentro l’Ottocento a Trieste. La città si stava aprendo a una dimensione europea e proprio in Bison trovò la figura idonea a esprimere le esigenze “artistiche” della borghesia che stava dando forma a quello che si può considerare un vero e proprio “miracolo economico” all’apertura del secolo XIX.
Si è detto “percorso”: e tale è, di studi e di eventi espositivi, segnato, in particolare, dalla monografia con il catalogo completo delle opere da poco pubblicata nella Collana d’arte della Fondazione CRTrieste. Gli autori di quell’opera, chi scrive, quindi Alberto Craievich e Daniele D’Anza, sono, assieme a Maria Masau Dan, gli artefici della presente mostra, che, per la prima volta, presenta al pubblico tutti i dipinti delle collezioni civiche triestine, cui ne sono stati aggiunti altri, molto significativi, provenienti per lo più da collezioni private (quindi, normalmente inaccessibili), al fine di raggiungere l’obiettivo di dar conto della poliedricità del pennello di Bison, a duecento anni dall’arrivo dell’artista in città. Si potranno ammirare sia dipinti di carattere scenografico (in particolare sul tema del “Don Giovanni”) sia un capolavoro come l’ “Apoteosi del Re di Roma”, inteso a celebrare la nascita del figlio di Napoleone, negli anni in cui Trieste faceva parte dell’impero francese.”
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