domenica 27 ottobre 2013

Un omaggio ad Arturo Rietti


Centocinquant’anni fa nasceva a Trieste Arturo Rietti, ritenuto dalla critica più autorevole il maggiore pittore cittadino dell’epoca a cavallo tra Otto e Novecento assieme a Umberto Veruda, suo compagno di studi all’Accademia di Monaco. Il Museo Revoltella possiede una ventina di opere significative dell’artista che da qualche giorno sono esposte in una sala del terzo piano della galleria d’arte moderna. Si è ritenuto giusto celebrare questo anniversario con un piccolo omaggio al pittore, su cui nel 2009  è stata pubblicata una importante monografia, per le edizioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste a cura di Maurizio Lorber.
Di seguito alcune notizie biografiche.
Arturo Rietti nasce a Trieste il 3 marzo 1863 da Alessandro Riettis, commerciante greco di fede ebraica ed Elena Laudi, appartenente ad una agiata famiglia triestina, anch’essa di origine ebraica. Si forma in un ambiente cosmopolita e studia sin da giovanissimo il tedesco, il francese, il greco, il latino ed in seguito anche l'inglese. Deciso a fare il pittore, fra il 1882 e il 1884 si trasferisce dal fratello maggiore Riccardo a San Giovanni Valdarno, dove si cimenta con dipinti in stile verista di contadini e operai della zona e trascorre le giornate frequentando Firenze e la Toscana, non seguendo però alcun regolare percorso formativo. In quegli anni Rietti è influenzato dai pittori triestini delle generazioni che l'hanno preceduto, in particolare dai ritratti di Eugenio Scomparini e di Giuseppe Barison, e dai soggetti della "pittura di genere” che si andava affermando nell'Italia centrale nello stesso periodo. Gli schizzi a carboncino e a matita di questa fase già mettono in luce l'interesse per i volti e gli atteggiamenti della gente comune, che lo caratterizzeranno anche negli anni successivi. Una delle sue prime opere note è il “Ritratto della madre”, datato 1883, ora al Museo Revoltella di Trieste.
Nel 1884 Rietti si iscrive all'accademia di Monaco di Baviera, sostenuto dalla madre e dalla nonna, nonostante il parere contrario dello zio Vitale Riettis, suo tutore dopo la morte del padre. Lì segue le lezioni di Franz von Defregger e del greco Nikolaus Gysis e frequenta gli altri studenti triestini, cioè Umberto Veruda e Riccardo Carniel (nel libro delle matricole dell’Accademia risultano tutti e tre iscritti nello stesso giorno, il 15 ottobre 1884).
Nel contempo si dedica alla sperimentazione di diverse tecniche, tracciando su taccuini, che porta sempre con sé, disegni di volti e figure e scrivendo annotazioni e appunti. Rietti in quegli anni tira anche di scherma.
Più tardi Silvio Benco avrebbe scritto: “I due più forti temperamenti che abbia dato Trieste si fanno innanzi, Umberto Veruda e Arturo Rietti…. Il secondo si ricollega piuttosto alla rivoluzione pittorica lombarda di Tranquillo Cremona e da essa intraprende il cammino misterioso verso il sogno rembrandtesco. Il Rietti è dominato dalla contemplazione interiore, e per quanto intransigenti le sue grandi macchie, per quanto evidente nel segno la nervosa risolutezza della mano, egli opera soltanto per reintegrare un’armonia che è nel suo temperamento soggettivo di sognatore non meno che nella sua squisita visività. Egli è ansioso di un problema solo: l’espressione dell’anima umana e s’è lamentato della vita breve che non concede di rivelare almeno mille donne nell’arte.”Conclusi gli studi monacensi nel 1886, lo troviamo a Milano, dove espone alcuni lavori. Ma ben presto si fa conoscere come pittore anche a Trieste. Nel giugno 1888 presenta nel negozio di Giuseppe Schollian in via del Ponterosso un pastello raffigurante Leone Segrè e poco tempo dopo vi compaiono anche delle sue piccole vedute, definite dai giornali cittadini “impressioni”. Nei soggiorni a Milano perfeziona la sua tecnica, che diviene sempre più rapida ed incisiva, e sviluppa una predilezione per l'uso del pastello. Nel capoluogo lombardo, inoltre, Rietti entra in contatto con i pittori Mosé Bianchi, Pompeo Mariani e Ambrogio Alciati e diventa amico di Emilio Gola e dello scultore Paul Troubetzkoy. Inizia il periodo della partecipazione di Rietti ai Saloni: nel 1887 espone a Milano presso la Permanente, due anni dopo all’Esposizione universale di Parigi, dove riceve la medaglia d’argento per un “Ritratto di vecchia signora” e, nell’ultimo decennio del ‘800, anche a Monaco, al Glaspalast e alla München Secession, ottenendo pure in Baviera un buon riscontro di critica, e guadagnando addirittura la medaglia d’oro di II grado con uno “Studio di giovinetta” all'esposizione del 1891.
Dal 1893 al 1898 espone con regolarità a Milano, ma è presente anche a Trieste, dove per un periodo ha uno studio nella monumentale cupola di Palazzo Carciotti, da cui riprende la suggestiva veduta “Trieste. Dalla terrazza di Palazzo Carciotti” del 1894 ora conservata al Museo Revoltella. Più tardi cambierà spesso atelier spostandosi in diverse zone della città.Nel 1895 si sposa con Irene Riva e nel 1896 nasce la figlia Anatolia. Alla fine dell’anno presenta sette opere all’esposizione del Circolo Artistico triestino mentre nel 1896 compare da Schollian il “Ritratto del conte Sordina”.  Appassionato di scherma, ritrae nello stesso periodo lo schermidore Alberto Minas.Nel 1897 partecipa alla II Biennale di Venezia con due studi di testa, mentre all’anno dopo risale il “Ritratto di Francesco Basilio” ora al Museo Revoltella. Nel 1903 viene elogiato dalla critica viennese per le diciassette opere a pastello (con ritratti di Teresa Junk Garbagnati, Gabriele d’Annunzio, Rembrandt Bugatti, Carlo Lamberti, Arturo Toscanini, Giacomo Puccini) che espone alla galleria "Miethke" In quel periodo Rietti vive infatti tra Milano, Vienna, Parigi e Trieste. Ma è nel capoluogo giuliano che svolge principalmente la sua attività: affina qui la sua tecnica che si fa mista, unendo il segno grafico del pastello a quello pittorico della tempera. Rietti si dedica principalmente all'arte del ritratto che, a suo dire, deve rivelare "una verità segreta, profonda, dell’anima del soggetto". Contemporaneamente il pittore annota: "La pecca del ritratto sta in questo: che si deve fare anche quando si vorrebbe fare altro, e che deve piacere al padrone e alla serva, e deve piacere subito". Nel 1905 è ancora presente alla Biennale di Venezia, nella “Sala veneta”, con due ritratti femminili e uno studio. Sono datati 1907, invece, il ritratto a figura intera della contessa Sordina, ora al Museo Revoltella, e il delicato pastello che raffigura Livia Veneziani Svevo. A proposito di questo ritratto si conserva un’interessante lettera scritta da Rietti a Italo Svevo: “Caro signor Schmitz, inutile che ella protesti. Sono un mascalzone. Ma pure senza colpa nell’animo, mi creda. Sono la vittima di un maledetto incarico assuntomi tanto tempo fa. Esso mi ha fatto lasciare indietro i compiti più belli a cui mi ero accinto col piacere più grande. Di ora in ora speravo di finire ma è come un incantesimo. Non riesco a liberarmi da quel terribile, antipatico, lavoro. Ora devo allontanarmi per pochi giorni da Trieste. Spero di trovar qui la Sua signora al mio ritorno, per finire il ritratto intorno a cui ho lavorato di memoria. Ma se ella dovesse essere partita, Le correrei dietro dove che sia perché ci tengo assai a questo studio. E spero di poterglielo provare col modo in cui lo farò.”
Rietti partecipa con altri due ritratti (Giannino Antona Traversi e Signora Kruceniski) alla IX Biennale, cioè all’edizione del 1910 che ospita la famosa “Sala della città di Trieste”.
Tuttavia nel suo catalogo di questi anni che precedono lo scoppio della guerra non ci sono soltanto affascinanti dame dell’alta borghesia, ma anche personalità della cultura e della politica triestina, come Attilio Hortis, patriota e direttore della biblioteca civica, al quale dedica un ritratto nel 1914.
Mentre è una testimonianza importante delle sue frequentazioni milanesi il ritratto che nel 1911 gli dedica lo scultore di origine russa Paul Troubetzkoy un bel busto in bronzo ora esposto al Museo Revoltella. Su quest’opera si sofferma Salvatore Sibilia, che nel 1922 gli dedica un capitolo del suo “Pittori e scultori di Trieste” incentrato su una visita che gli aveva fatto poco prima. “Quando, tornato da Milano, andai al Museo Revoltella, mi fermai un poco innanzi al “Ritratto di un prete” e a “La mia bambina” di Arturo Rietti e alla sua immagine fusa in bronzo da Paolo Troubetzkoy. Mi fermai: e il bronzo del russo scomparve innanzi al mio occhio: la figura di Arturo Rietti mi si animò all’improvviso: mi parve di rivederlo, con i suoi occhiali inforcati, e la mano sulla guancia, al tavolo della sua stanza d’hotel parlarmi dell’inutile attività dei critici d’arte….”
Nel 1925 espone insieme ad Arturo Mancini presso la galleria "Pesaro" di Milano e le sue opere sono ricordate in un articolo da Raffaello Giolli. In quel periodo, nei suoi immancabili taccuini, Rietti inizia a rivelare le sue perplessità sull'arte contemporanea, di cui avverte il cambiamento senza però comprenderlo: le sue preferenze (ancora nel 1932) restano Edgar Degas, Eugene Carrière e Max Liebermann. Nonostante l'evoluzione del gusto, le commissioni non gli mancano, soprattutto da parte della borghesia, che gli richiede ritratti tradizionali per i propri salotti. Rietti continua quindi a spostarsi da una città all'altra, pur restando fortemente legato a Trieste, dove si stabilisce nuovamente nel 1933 presso il Foro Ulpiano e nel 1936 espone ancora presso la galleria "Trieste". Alla morte della moglie, nel 1940 si sposta da Trieste a Milano, che lascia poi per timore dei bombardamenti per rifugiarsi presso la famiglia Gallarati Scotti a Fontaniva, ritrovo di intellettuali antifascisti come lui, fermo oppositore del Regime sin dagli inizi e soprattutto dopo le leggi razziali. Malato di diabete, che gli causa forti e costanti dolori al piede, muore a Fontaniva il 6 febbraio 1943.

martedì 22 ottobre 2013

Un saggio di Tonko Maroevic su Jagoda Buic


LA SCIA DELL'ONDA, IL RITMO DEL VOLO. Il profilo creativo di Jagoda Buić
I.
Sin dai suoi inizi Jagoda Buić ha trovato un suo filo conduttore. In tutte le discipline e le tecniche in cui si è cimentata ha seguito i percorsi di una fantasia senza costrizioni, che a sua volta si è nutrita del lume delle prime visioni e confermata dall'abbraccio delle forme create.
Il suo lavoro per ampiezza di estensione e larghezze di operato ha, senza dubbio, dimensioni cosmopolite ed un carattere nomade, ma è anche per ispirazione radicato nella sinuosità dell’ambiente mediterraneo e determinato, grazie a considerevoli impulsi formativi, anche dalla ricchezza della storia familiare, dalle frastagliature della nativa Dalmazia e dall’apertura culturale del Circolo delle Belle Arti di Zagabria (negli anni ’50 del secolo scorso); per il complesso dei suoi risultati rappresenta quindi un tratto inevitabile dell’arte moderna croata, ovvero una tappa significativa di un’adesione alle correnti universali all’interno dell’ambito della società socialista federativa jugoslava. >>>

sabato 19 ottobre 2013

Jagoda Buić. Theatrum mundi

Dal 18 ottobre 2013 al 6 gennaio 2014

Per la prima volta in Italia una grande retrospettiva di Jagoda Buić. Nell’anno in cui la Croazia entra nell’Unione Europea, Trieste presenta un evento espositivo inedito, dal forte potere evocativo, dedicato alla grande artista dalmata e alla sua opera: monumentali sculture tessili, composizioni in carta, collage, bozzetti e costumi teatrali, un video del 1983.
A corredo dell’esposizione un catalogo con interventi, tra gli altri, di Luciano Caramel, Gillo Dorfles, Miroslav Gašparović , Tonko Maroevic, Maria Masau Dan, Predrag Matvejević.
«Sono forme che, nei materiali, nei volumi, nelle strutture affondano le radici nel mare e compongono uno scenario che si fa Theatrum Mundi dove la tragedia predomina sul dramma e dove il dramma prevale sulle cronache del quotidiano».
Dalle parole che Predrag Matvejević rivolge all’opera di Jagoda Buić prende il titolo la grande retrospettiva “Theatrum Mundi” che la citta di Trieste e il suo Museo Revoltella, in collaborazione con il MUO di Zagabria, dedicano all’artista dalmata nell’anno in cui la Croazia entra nell’Unione Europea. Dal 19 ottobre 2013 al 6 gennaio 2014 i prestigiosi spazi del Museo triestino presentano per la prima volta in Italia una rassegna completa dedicata a Jagoda Buić, scenografa, costumista, regista ma prima di tutto artista di fama internazionale le cui opere si trovano in alcuni dei Musei più importanti del mondo come il Metropolitan di New York, il Musée d’art moderne de la Ville de Paris, il Museo d’Arte Moderna di Zagabria, Stedelijk di Amsterdam, per citarne solo alcuni.
«A Jagoda Buić e alla sua arte mi legano, tra l’altro, anni di emigrazione trascorsi tra “asilo ed esilio”». E, ancora, ricorda Matvejević «Ci incontravamo per tutta l’Italia e Francia, specie a Parigi e Venezia, in diverse città europee, nella Jugoslavia che crollava davanti ai nostri occhi pieni di miseria. Più volte visitavamo anche Trieste.
Cercavamo di scoprire la sua straordinarietà: quello che il nostro amico Claudio Magris chiama “un’identità di frontiera”. Sono lieto che la mostra di Jagoda Buić sia presentata a Trieste, in questa città, dove soffia la stessa “bora“ come nella Dalmazia, nella sua Spalato nativa».
Come spiega Miroslav Gašparović, direttore del MUO di Zagabria «la mostra al Museo Revoltella di Trieste è la prima presentazione completa di questa grande artista croata di fama mondiale al pubblico italiano. La mostra include tutti i segmenti del suo lavoro: arte tessile, arazzi, sartoria teatrale, scenografia, video, fino alle opere di carta fatte negli ultimi anni che assumono, indubbiamente, accanto al lavoro teatrale e all’arazzo, un posto speciale nell’insieme della sua opera».
L’itinerario della mostra si svolge e si intreccia negli spazi del V° e del VI° piano del Museo Revoltella dove una serie di grandiose installazioni ambientali “tessili” si alternano alle opere costruite in carta. Il profondo legame dell’artista con il teatro risulta evidente dall’effetto scenografico che riesce ad ottenere attraverso la disposizione dei suoi lavori: figure, colonne, volumi, pannelli, forme spesso ispirate al mare che, sempre, dialogano o interagiscono drammaticamente con lo spazio che le accoglie. Nelle opere tessili della Buić realizzate con materiali unici quali gomene, crine, iuta, lino, trecce, filacci si ritrovano, intatte, la forza e la “sapienza” della sua terra di mare, aspra e tormentata, ricca di storia e di bellezza.
A testimoniare – come afferma Gillo Dorfles – «la capacità della Buić di trasformare ogni suo progetto inventivo in una nuova formatività tridimensionale» sono gli arazzi e le installazioni ambientali come Frondeggiare Nero o Ambiente Nero (Grand Prix alla Biennale di San Paolo nel 1975). In mostra le creazioni di Jagoda Buić che Dorfles definisce “vere e proprie sculture”, dialogano con le recenti composizioni del ciclo Carta Canta e con gli ultimi e inediti collage. Qui la materia carta assume forme e consistenze imprevedibili, in una sequenza di grande suggestione. Nuvola e Vento, Paesaggio Nero e Paesaggio Bianco rappresentano trasposizioni visuali dei legami primordiali su una mappa, Uccello Nero e Uccelli Scappati delineano l’energia del volo, il movimento, la fuga; Vele e Camicia Bianca puntano sull’oggettività elevata fino a un simbolo. «... Mi pare che nella prima serie di collages Jagoda Buić sia stata più propensa a soluzioni sontuose, rapporti cromatici più ricchi, più elementi strutturali, e che le soluzioni nuove dimostrino sobrietà, concisione. La gamma di composizioni e colori, tagli e spunti, angoli e curve, pieghe e asprezze, davvero crea effetti melodiosi o armoniosi, mai perdendo, naturalmente, la qualità della credibilità ottica e dell’evocazione tattile. Se finora Jagoda Buić era stata caratterizzata da un’immaginazione lirica e da un senso di contrasti drammatici, nel suo lavoro con la carta si è potuta abbandonare più liberamente a giochi creativi ed evocazioni poetiche di esperienze, stati, memorie » commenta Tonko Maroević nel suo intervento in catalogo. Il percorso espositivo è completato da disegni, bozzetti e costumi che l’artista ha realizzato per la messa in scena di rappresentazioni teatrali passate alla storia quali, ad esempio, il Riccardo III del 1997 al Teatro Gravella di Zagabria, Amleto del 1974 a Dubrovnik, il Re Lear del 1901 nell’isola di Brioni. Una citazione a parte merita il bellissimo video del 1983 Sole, sabbia, suono – realizzato in Florida – che, sempreMaroević, descrive come «un impianto nello spazio aperto… sulla sabbia di una grande spiaggia aveva lasciato che il vento gonfiasse e mettesse in moto un lungo “tubo” di plastica di un intensa bianchezza e trasparenza che il vento poi muoveva aleatoriamente, alzava e ribassava in maniera dinamica in diverse direzioni. La videoregistrazione testimonia l’effetto quasi percussorio dell’opera, una realizzazione che entra nel rapporto più diretto con il vento e la luce». «Davanti ai lavori di Jagoda Buić si dovrebbe passare lentamente, come davanti ai “Quadri di una esposizione” di Mussorgsky». Perché – come ha scritto Predrag Matvejević «una sorta di musica li lega tra loro, che permette e, a tratti, impone di fermarsi».
Ma le opere della Buić non si fermano e, dopo i grandi musei del mondo, a Trieste trovano un palcoscenico che si fa “Theatrum mundi”.

domenica 13 ottobre 2013

Tra mare vero e mare dipinto una domenica speciale

 
Anche se in questa seconda domenica di ottobre lo spettacolo della Barcolana, con le sue 1500 vele radunate nel golfo per la più famosa regata d'autunno, è imperdibile, vale la pena approfittare della possibilità concessa dal Comune ai nati o ai residenti a Trieste di visitare tutti i musei civici gratuitamente, come ogni seconda domenica del mese. L'iniziativa si intitola "Museo casa mia" e continua da febbraio.
Non si pagherà il biglietto, dunque, ma si dovrà esibire la carta d'identità, nei seguenti musei: Castello di San Giusto, Museo Sartorio, Museo d'arte orientale, Museo teatrale, Museo Revoltella dalle 10 alle 19, ingresso fino alle 18.15), Museo del mare, Museo di storia naturale, Acquario, Orto botanico. Sono sempre accessibili liberamente invece il Museo del Risorgimento e la Risiera di San Sabba. >>>