Il quotidiano "Il Piccolo" dedica oggi un lungo articolo alla "crisi" del Curatorio del Museo Revoltella, che non si riunisce dal 25 settembre 2012, come denunciano alcuni membri che, dopo avere sollecitato inutilmente l'Amministrazione, hanno segnalato questo fatto al giornale.
L'attenzione data a questo tema pare anche a noi significativa e utile, anche se le valutazioni fatte sono troppo legate alle contingenze e non tengono conto del contesto storico e politico a cui va collegata la progressiva riduzione di competenze di quest'organismo nato con la fondazione del Museo (1872), per volontà dello stesso barone Revoltella. >>>
E' vero, come sottolinea il giornale, che un tempo il Curatorio godeva di maggiore prestigio perché era composto dai più bei nomi della cultura e della politica triestina, ma è anche vero che allora si occupava quasi esclusivamente dell'incremento della collezione e della scelta delle opere da acquistare, attività che poteva contare su risorse finanziare sicure e abbastanza cospicue, grazie al lascito del barone e ai buoni investimenti che furono fatti, almeno fino alla prima guerra mondiale. In seguito questa tradizione si è mantenuta, anche se con alti e bassi, fino agli anni Settanta, con acquisti importanti soprattutto alla Biennale di Venezia e con una efficace politica di relazioni fra il museo e i maggiori esponenti dell'arte italiana, dovuta in buona parte al ruolo avuto da Marcello Mascherini ma anche a direttori intelligenti come Edgardo Sambo e Giulio Montenero.
Non dimentichiamo, poi, che il Curatorio (in cui sono sempre stati coinvolti grandi architetti della città, Berlam, Nordio, ecc.) ha avuto un ruolo fondamentale nell'ampliamento del museo e nell'affidamento del lavoro a Carlo Scarpa (1963).
Cos'è accaduto dopo?
La lunga chiusura del museo a causa del protrarsi dei lavori (oltre vent'anni) è stata la prima causa dell'uscita dell'istituzione dalla ribalta della cultura cittadina e dalla sfera di attenzione della politica, che ha cominciato a considerare il Museo Revoltella più che altro una "grana". Anche le dimissioni polemiche del direttore Montenero ne furono un sintomo. Il museo era precipitato in una situazione che sembrava senza ritorno, sfiorato persino da indagini su presunte "mazzette" collegate ai lavori edilizi.
Dal 1992 ad oggi, cioè da quando finalmente i lavori sono finiti e il museo si è riaperto con la direzione della sottoscritta, la situazione è in parte migliorata, soprattutto per quanto riguarda la funzionalità dell'istituto e una crescita consistente del pubblico, ma le risorse finanziarie sono progressivamente diminuite e il patrimonio è stato incrementato solo da un lascito in denaro piuttosto importante (Kurlander) e da generose donazioni. Anche il Curatorio ha smesso di elaborare strategie per il museo, acquisti e ampliamenti, limitandosi a suggerire temi per le mostre, in contrasto il più delle volte con gli assessori.
Il limite più grave, però, è da troppo tempo l'impossibilità di fare una vera programmazione dell'attività, che - finita l'era Illy, quando ancora si potevano decidere i programmi almeno da un anno all'altro - perdura dal 2001. Da allora, ogni anno il museo - a causa dei meccanismi di approvazione dei bilanci - non conosce l'entità delle risorse a sua disposizione almeno fino a marzo-aprile, e poi deve in fretta e furia realizzare le mostre decise all'ultimo momento, quasi sempre con budget ridottissimi. Prima di avere certezza delle risorse non si può mettere in cantiere nulla, men che meno impegnarsi con altri soggetti, musei, gallerie, artisti, studiosi, ecc. Si fanno comunque degli accordi, ma sono "accordi col brivido" che possono anche essere annullati, col rischio sempre presente di finire in una causa.
In queste condizioni che cosa può fare il Curatorio? Il suo compito sarebbe proprio quello della programmazione e della valutazione preventiva delle proposte formulate dalla direzione e dall'assessorato. E va riconosciuto che tutti coloro che ne fanno (e ne hanno fatto) parte sono pienamente coscienti delle difficoltà e desiderosi di collaborare, a cominciare dall'attuale presidente avv. Sergio Pacor. Ma in questo gioco di acrobazie e affanni che è diventata la gestione delle istituzioni culturali (non solo a Trieste, intendiamoci, ma in tutta Italia) non c'è più posto per studiare, riflettere, tessere relazioni, discutere, scegliere....
Vivere alla giornata non è compatibile con le istituzioni democratiche...
Ci piacerebbe che attorno a questo tema si sviluppasse un dibattito. Per questo ho scelto di scrivere su questo blog piuttosto che mandare una lettera di risposta al giornale.
Maria Masau Dan
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