Sta finendo il Carnevale ed è l’occasione per andare alla ricerca di opere ispirate alle maschere. Il tema ha affascinato molti artisti del ‘900 (a iniziare da Picasso) ed è stato interpretato anche dai più importanti artisti triestini. Nelle collezioni del Museo Revoltella ci sono ben due opere dedicate alle maschere datate 1930 e acquistate nello stesso anno: “Debutto” di Giannino Marchig e “Maschere” di Cesare Sofianopulo.>>>
Debutto, 1930
Olio su tela, cm 154x100Trieste, Civico Museo Revoltella
Negli anni trenta Marchig
dedica numerose opere a soggetti teatrali. Personaggi dall’aria malinconica
come Arlecchino e Pulcinella che imbracciano strumenti musicali oppure
profondamente assorti nel ruolo di uomini dietro la maschera del loro mestiere
o ancora colti mentre si esibiscono sulla scena. L’opera “Debutto” (acquistata
dal Museo Revoltella alla Biennale di Venezia) raffigura, appunto Pulcinella e
Arlecchino impersonati da due giovani che entrano in scena per la prima volta,
il primo incerto e dubbioso, il secondo più deciso e sicuro. La composizione è
fondata su un gioco di diagonali che accompagnano l’inquietudine di cui è
carica l’immagine. Come sottolineava Silvio Benco “Lo spirito di quest’opera è
tutto nel colore: in quella magistrale sicurezza che s’è acquistata il Marchig
di lumeggiare con fiocchi di bianchi crudi ed arditi.”(1930)
Nasce nel 1893 a Trieste. Formatosi
alla scuola triestina di Parin, Orell, Zangrando e Croatto, Marchig viene
avviato da quest'ultimo alla pratica dell'acquaforte, tecnica dalla quale trae
il gusto per un disegno accurato e netto. Quindi si reca a Venezia, dove
studia, per qualche mese, con Pietro Fragiacomo.
Nel 1915 parte con la
famiglia alla volta di Firenze. Il suo saggio di ammissione all'Accademia della
città toscana è tanto apprezzato dalla commissione che al giovane viene concesso
di frequentare immediatamente l'ultimo anno. L'attenzione dell'artista si volge
anche alla pienezza plastica delle forme, in cui non di rado si insinua una
nota malinconica. Appassionato di pittura fiamminga antica e moderna, visita più
volte la collezione Colucci a Siena attratto soprattutto dalle tele, permeate
spesso da un profondo senso di solitudine, di alcuni artisti belgi e fiamminghi
contemporanei. In questo periodo i dipinti del triestino sono, infatti,
caratterizzati da un linguaggio controllato e severo nella netta e
"francescana" definizione di spazi, oggetti e persone.Nel 1920 Marchig vince il premio Stibbert con il Trittico del Calvario e organizza alla galleria triestina Michelazzi un'ampia personale in cui domina il tema del ritratto. I personaggi colpiscono per l'accurata resa psicologica, per il sapiente bilanciarsi delle tinte e per il lucido controllo della forma, echeggiante moduli casoratiani. Allo scadere degli anni venti Marchig inizia a guardare alla pittura dell'ultimo Tiziano, abbandonandosi a un fare più mosso e sciolto. Agli inizi degli anni trenta comincia ad occuparsi di restauro e stringe amicizia con Berenson.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale Marchig abbandona le fatiche espositive per dedicarsi allo studio della pittura e delle tecniche antiche. Nel 1947 cura con la casa editrice Electa la pubblicazione di una collana di monografie intitolata "Le Vette". Le edizioni s'interrompono nel 1948 e Marchig nel 1949 si trasferisce a Ginevra, impegnandosi nel restauro e dipingendo oli ove diviene centrale il tema della maschera mentre il tocco si fa più lieve, ammorbidendo i contorni per disporsi, alla fine, ad accenti debitori dell'espressionismo nordico. Muore a Ginevra nel 1983.
Maschere, 1930
olio su tela, 77x103
Trieste, Museo Revoltella
Nelle "Maschere" l'ossessivo
moltiplicarsi dell'ego trasfigurato (l'artista si ritrae per cinque volte in
vesti diverse) soddisfa il pirandelliano concetto di metamorfosi della
personalità a cui Sofianopulo mira nel corso della minuziosa e variegata
disamina che egli compie continuamente su sé stesso. In questa stravagante
composizione l'artista sembra passare in rassegna le molteplici sfaccettature
della propria indole ed esprimere - come rileva Malabotta nel '30 - le varie
"possibilità fisionomiche", raffigurandosi di volta in volta
"angelico, pensoso, satanico, imperatorio e irresistibile". "Un
quadro psicologico" - lo definisce Benco nel '30 - in cui il lavorio
intellettuale del pittore non viene dissimulato dalla leggerezza e dalla vivacità
compositiva e cromatica del dipinto.
cenni biografici di Cesare
Sofianopulo
Nato a Trieste nel 1889, inizia
a studiare a Trieste sotto la guida di Argio Orell, quindi decide di continuare
la sua formazione a Monaco di Baviera. Si iscrive nel 1910 all'Accademia della
città tedesca e frequenta i corsi di Yank. Nel 1911 si reca a Parigi ove tra
gli altri conosce Modigliani, d'Annunzio e lo scultore cubista Lipschitz. Nel
1912 e 1913, nuovamente a Monaco, segue le lèzioni di Franz von Stuck.
Ritornato a Trieste i suoi quadri si fanno subito notare per le loro atmosfere
inquietanti, per le tinte basse, per il ricorrere a luminosità particolari.
Sono opere ove evidente è l'influenza della cultura simbolista. Sofianopulo si
diletterà anche di letteratura traducendo i Fiori del male di Baudelaire e
alcuni testi di poeti greci moderni. Muore a Trieste nel 1968.
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