Zigaina, opere 1947-2000. Mostra antologica al Museo Revoltella.
Da sabato 23 settembre a domenica 5 novembre 2000 è rimasta aperta al Museo Revoltella di Trieste una grande mostra antologica di Giuseppe Zigaina, che, a dieci anni da quella che fu presentata nel ’90 a Pordenone, si può senz’altro considerare fino a quella data l’evento espositivo più importante per la conoscenza complessiva dell’opera quasi sessantennale del maestro friulano.
La
mostra, curata da Carlo Pirovano e dall’artista stesso, che hanno
fatto un’accurata ricerca delle opere “storiche” e un’
impegnativa selezione nella vasta produzione degli ultimi decenni,
attingendo a collezioni pubbliche e private italiane e straniere,
comprendeva un centinaio di opere, circa settanta dipinti e una
trentina di disegni, che documentavano l’intera vicenda artistica di
Zigaina, più di mezzo secolo d’arte, dal 1947 al 2000.
Accanto
a pezzi famosi e celebrati come le “Crocifissioni” dell’immediato
dopoguerra, che assieme a una decina di altri dipinti e disegni di
grande valore (“Uomini e cavalli”, “Pescatori”, “Cavallo
morto e cavaliere”, ecc.), testimoniavano la fase in cui Zigaina fu
vicino al Fronte Nuovo delle Arti (1947-48) si poteva vedere una ricca
rassegna del suo periodo realista (1950-54) con opere fondamentali
tra cui “Occupazione delle terre” del 1950 (ora della Fondazione
Davide Lajolo), “Carro e biciclette”, “Biciclette e vanghe”,
“Attesa del traghetto serale” del 1951, temi che per la loro
particolarità, il loro legame con un mondo chiuso e sconosciuto come
la Bassa Friulana, lo hanno caratterizzato subito come uno dei più
originali e sensibili esponenti del realismo italiano.
Altrettanto
ben documentato era il periodo della grande “svolta” degli anni
Sessanta dal realismo ad una pittura meno vincolata dal legame con il
mondo esterno e più concentrata sul mondo interiore dell’artista.
E’ la fase in cui Zigaina, con una pittura meno definita nei
contorni, priva di struttura grafica ed essenzialmente materica, si
avvicinò di più all’informale, anche se non può essere inserito,
in realtà, in questa corrente. Di questo momento la mostra del
Revoltella presentava alcune opere molto significative come il “Piccolo
Generale” della Galleria d’arte moderna di Bologna, ma anche
“Notturno italiano”, “Ceppaia nella neve, “Dormitorio”,
“Donna assassinata”.
Gli
anni Settanta, che riportarono massicciamente nell’opera di Zigaina
il segno grafico, erano rappresentati da una serie di dipinti di
grande suggestione che costituiscono forse la sua produzione più
nota e più vista (anche per le straordinarie interpretazioni degli
stessi temi che l’artista ha fornito attraverso l’incisione):
“Dal colle di Redipuglia”, “Uccello nell’erba”, “Paesaggio
come anatomia”, ecc.
Gli
anni Ottanta e Novanta segnano invece un grande recupero di spazio
nella pittura di Zigaina che, contemporaneamente si arricchisce di
formidabili interventi cromatici. Torna a prevalere l’interesse per
la campagna friulana, per il paesaggio familiare: “Verso la
laguna”, “La sera nel vigneto”, “Girasoli” sono soltanto
alcuni degli infiniti risvolti del grande amore nutrito dall’artista
per la sua terra. Torna anche, in modo quasi ossessivo, la figura del
padre, al quale aveva dedicato dei ritratti in tempi più lontani.
La
mostra, è stata realizzata con il contributo della Regione
Friuli-Venezia Giulia e sostenuta da Euromobilarte, Zalf Mobili e
Assicurazioni Generali.
* * * * *
“Da
quando è apparso quasi improvvisamente sulla scena artistica
italiana, fra il ’48 e il ’50, Zigaina ha dato di sé un’immagine
che non è più stata smentita: l’immagine, cioè, di un pittore
che in ogni momento della sua opera coinvolge la propria sorte
personale nel destino della storia” (M. De Micheli, 1970). A
trent’anni di distanza questa riflessione è ancora attuale anche
se la vicenda artistica di Zigaina, dopo la fase realista dei primi
anni Cinquanta, ha avuto uno sviluppo abbastanza indipendente non
solo dai movimenti e dalle correnti che hanno caratterizzato gli
ultimi decenni del Novecento, ma anche dai mutamenti politici e
sociali. Ciò non significa che egli sia stato e sia un isolato ma,
come osserva Carlo Pirovano, che “la sua indole ricettiva e
problematica” lo ha condotto “a più sofisticate rimeditazioni
sulla dimensione tesa della storia piuttosto che alle sollecitazioni
occasionali della cronaca immediata.”
Giuseppe
Zigaina è stato davvero un’apparizione nel mondo dell’arte e, se
a livello nazionale, questo si è verificato, appunto, tra il ’48 e
il ’50, in occasione delle sue prime presenze a Venezia, la sua
terra, il Friuli-Venezia Giulia, aveva scoperto il suo talento già
nel 1942, quando, a soli diciotto anni, aveva esposto all’ultima
Sindacale triestina, accolto entusiasticamente da critici come Silvio
Benco e Umbro Apollonio.
Il
suo destino di artista e di intellettuale si compie subito dopo la
fine della seconda guerra mondiale attraverso alcuni incontri molto
importanti. Nel 1946 a Udine conosce Pier Paolo Pasolini con il quale
stabilisce un legame di profonda amicizia che durerà fino alla morte
del poeta. Nello stesso tempo è vicino al Fronte Nuovo delle Arti
che dal ’46 al ’48 raggruppa alcuni tra i più interessanti
artisti italiani: Birolli, Cassinari, Guttuso, Morlotti, Pizzinato,
Santomaso, Vedova, Leoncillo e Viani. Nel 1948 espone per la prima
volta a Venezia, alla Galleria del Cavallino e alla prima Biennale
del dopoguerra.
Tra il ’47 e il ’48
dipinge le Crocefissioni, le diverse versioni di “Uomini che
uccidono cavalli”, “Cavallo morto e cavaliere”, ”Bambini che
giocano”, “Pescatori”. In questa estrema geometrizzazione delle
forme è certamente influenzato dal post-cubismo ma anche da modelli
storici: ricorda lui stesso quanto abbia influito su di lui la
visione, a Firenze, della “Battaglia di San Romano” di Paolo
Uccello. Un critico acuto e sensibile come Giuseppe Marchiori vede,
invece, nelle opere di questo periodo “una tensione spirituale che
lo avvicina agli affreschi della cripta di Aquileia, alla loro forza
drammatica, piuttosto che a un Rouault pittore di vetrate”. Altri
critici, infatti, soprattutto per l’uso di contorni neri e marcati,
avevano fatto un preciso riferimento al grande pittore francese.
Dal ’48, dopo la
frattura interna al Fronte, Zigaina si avvicina al movimento
realista. Dalla sua pittura spariscono i riferimenti colti mentre si
fa strada la rappresentazione del mondo contadino al quale sente di
appartenere. Inizia così la lunga serie delle “Biciclette e
falci”, dei “Braccianti”, dei “Traghetti serali”. “Umida,
verde, profonda, la regione friulana entrò nei suoi quadri e dentro
al paesaggio incominciarono a muoversi gli uomini del Cormor e
dell’Ausa, a piedi, in bicicletta, con le falci in spalla,
taciturni, ostinati, solenni. (…) Nel periodo realista Zigaina ha
cercato di far coincidere in modo immediato l’immagine con la
sostanza dei suoi sentimenti, col suo impegno morale e civile.”(M.
De Micheli, 1970)
“Il problema
cardine di questi anni di pittura realista – fin verso il 1953 –
è i sostanza quello della strutturazione autoportante del colore,
senza la griglia violenta del segno, dei tralicci scuri che
precedentemente imbrigliavano le composizioni in ogni parte del
riquadro ideale della tela; gradualmente il quadro visivo si
alleggerisce dello scheletro strutturale e contemporaneamente
l’esterno, la natura, si amalgama alle figure, uomini e cose,
partecipe e perfino possessiva.(…) …la struttura grafica stessa
si è fatta colore, liquido e trascorrente, con effetti luministici
rabbrividenti, elettrici; una vitalità panica trascorre nella
visione sublimata di quelle povere cose tramate in un’elegantissima
sintesi compositiva.” (Pirovano, 2000).
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