lunedì 11 marzo 2013

Mostre ingrate..............

Da un paio d’anni a questa parte il Museo Revoltella è letteralmente bersagliato di richieste di prestito di opere per mostre che si svolgono in Italia e all’estero, ma soprattutto in Italia e soprattutto su autori e temi che ormai, a furia di repliche, sono diventati popolari e garantiscono agli organizzatori un buon successo di pubblico. Nulla di grave, anzi ben vengano le mostre, almeno quelle che danno un vero contributo di conoscenza all’arte italiana e non sono solo disinvolte riedizioni di riedizioni.
Il fatto è che, purtroppo,  ci vengono chieste in prestito sempre le stesse opere (De Nittis, Previati, Casorati, nella foto, Carrà, Sironi, Morandi e pochissime altre) che sono “i pezzi forti” della nostra collezione tanto da venire indicati nelle guide turistiche come “buone ragioni” per venire a Trieste (in subordine naturalmente al Castello di Miramare, alla Grotta Gigante, al Castello di Duino!).
Dipinti che furono scelti con grande competenza dai primi direttori e che si inseriscono felicemente in un contesto di artisti locali o di artisti italiani (e stranieri), meno celebri, ma nella maggior parte dei casi di grande interesse. Insomma un museo che, dicono tutti,  è un piacere visitare, perché è pieno di sorprese: prima ti lascia immergere nel più sfarzoso ‘800 attraverso i salotti di palazzo Revoltella e poi ti sospinge nello spazio chiaro e razionale di Carlo Scarpa, dove si snoda un percorso di due secoli d’arte che comincia con Canova e finisce con Burri. >>>


Gaetano Previati, Il giorno sveglia la notte, 1909
E’ scontato che la visita non è altrettanto soddisfacente se i capolavori sono in trasferta. Ma negli ultimi quindici anni si contano sulle dita di una mano le volte in cui abbiamo rifiutato i prestiti, e mai li abbiamo rifiutati ai musei. Così, citando a memoria, e sicuramente per difetto, il grande olio di Previati si è fatto parecchi viaggi, a Milano, a Montreal, a Roma, a Parigi, a Berlino, a Genova; “La signora col cane” di De Nittis è andata a Roma, a Parigi, a Trento, a Torino, a Padova; “La donna al mare” di Carrà è stata in mostra a Roma, Bergamo, Buenos Aires, Madrid, Aosta, Trento, Alba; il “Meriggio” di Casorati è stato presente a Rivoli, Venezia, Torino, Brescia, Francoforte, Roma, Ravenna; Morandi è stato visto a Firenze, Madrid, Torino, Bologna, Alba; “Il pastore” di Sironi è stato esposto a Roma, Vienna, Londra, Barcellona, Rovereto, ecc.
Tutte le volte aderire al prestito è stato un grande sacrificio ma ci sentivamo in dovere di acconsentire per contribuire agli studi di storia dell’arte e per valorizzare le opere e il nome del Museo Revoltella. Non di rado le mostre ci hanno permesso di approfondire la storia delle nostre opere e di capirne meglio il valore e il significato nella storia dell’autore.
Carlo Carrà, Donna al mare, 1931
Col passare degli anni, però, il “sistema delle mostre” si è sempre più allontanato dal territorio della ricerca scientifica per avvicinarsi progressivamente e pericolosamente al mercato dell’arte, dal quale per certi versi ha finito per essere governato. Sempre più spesso ci siamo resi conto di essere, come musei pubblici, dunque prestatori di opere “sicure”, i garanti di operazioni che avevano come scopo vero la valorizzazione di opere (se non intere collezioni) di privati, che, guarda caso, subito dopo finivano sul mercato; ci siamo accorti che tanti direttori di musei particolarmente generosi coi prestiti venivano premiati con incarichi di collaborazione alle mostre di cui erano prestatori pubblici; abbiamo finalmente capito che alcuni prestigiosi storici dell’arte fanno da “collettori” di opere di musei a nome di interessi privati e che i musei finiscono col mettere gratuitamente a disposizione il patrimonio pubblico a beneficio di organizzazioni che hanno una patina culturale ma sono in realtà aziende private.
Ma perché dovremmo farlo? Quale beneficio ne ricaviamo? La pubblicazione delle opere? Si tratta di opere già ampiamente studiate e pubblicate. La pubblicità ai nostri musei e magari qualche ritorno turistico? Macchè! Il nome del museo proprietario spesso non figura più nemmeno nelle didascalie, che comunque sono minuscole e lasciano leggere appena il nome e il titolo. Qualche biglietto omaggio per i nostri dipendenti? Neppure quello, ci è toccato pagare a volte persino il catalogo…
Mario Sironi, Il pastore, 1932
Dunque i nostri musei non solo non ne ricavano alcun vantaggio, né piccolo né grande, ma, a causa dell’assenza delle opere più importanti certamente subiscono un danno economico e d’immagine. E allora, forse, è meglio che le opere restino al loro posto. La ricerca scientifica si potrebbe promuovere anche pubblicando libri e facendo viaggiare gli studiosi anziché i quadri… (Certo, mi diranno, vederli uno accanto all’altro è un’altra cosa…)

Questa premessa era indispensabile per capire la ragione per la quale, lo scorso autunno, abbiamo deciso di aderire solo parzialmente alla richiesta di prestito che ci ha fatto la Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì per la mostra del Novecento italiano ora in corso, appunto, a Forlì. Abbiamo detto di sì per l’opera di Sironi, per le sculture di Arturo Martini, i dipinti di Carlo Sbisà e Cesare Sofianopulo, ma abbiamo rifiutato “Meriggio” di Casorati, che essendo un dipinto su tavola, estremamente delicato, rischia molto a ogni spostamento. Nel contempo abbiamo prestato De Nittis alla mostra di Padova e Carrà alla mostra di Alba. Dunque negli ultimi sei mesi riteniamo di avere dato un contributo più che sufficiente, anzi di avere fatto un grande sacrificio sull’altare della storia dell’arte italiana…

Ma, si sa, certi sgarbi non vengono perdonati. Il giro delle mostre è, in fondo, una compagnia abbastanza ristretta e piuttosto snob di curatori, direttori di musei, docenti universitari, editori, galleristi, critici d’arte, giornalisti, trasportatori e uffici stampa.
dicembre 2012, davanti a Casorati
Così non abbiamo potuto non collegare al rifiuto di prestare Casorati a Forlì un articolo sul Museo Revoltella comparso sul “Giornale dell’arte” di novembre, a firma di Flaminio Gualdoni, il quale, nella rubrica “Il criptico d’arte” è solito bacchettare persone e istituzioni per i motivi più vari, spesso incomprensibili o forse comprensibili tra le righe solo ai destinatari. L’articolo che ci riguarda si intitola “Il reggimoccolo” e dedica una lunga disquisizione agli accostamenti sbagliati tra capolavori e opere mediocri, citando come esempio l’esposizione, accanto a “Meriggio” di Casorati, di una scultura a suo parere “bruttacchiotta” del triestino Carlo Hollan. Non sappiamo se Gualdoni sia effettivamente venuto al Museo Revoltella o si sia basato sul racconto di qualche amico, ma certo deve avere fatto una visita di corsa perché evidentemente non si è accorto che nella stessa sala c’erano altri nudi, alcuni molto interessanti, altri, se non “bruttacchiotti”, diciamo pure non molto significativi. Eppure si è accanito con il povero Hollan, unica scultura della sala, definita il “reggimoccolo”.  Ma quanti “reggimoccoli” non ci sono nei musei? Quali musei possono esporre solo capolavori?

Comunque rispettiamo l’opinione di Gualdoni, come tutte le critiche che ci arrivano, quando ci aiutano a capire degli errori e delle possibilità di miglioramento. I musei sono dei laboratori e le relazioni tra le opere sono innumerevoli, occorre provare e riprovare.
Ci dispiace solo il tono saccente e ironico con cui ha giudicato il nostro difficile lavoro, che lui dovrebbe conoscere, visto che vanta nel suo curriculum la direzione di qualche museo, ma che forse ha dimenticato.
O forse semplicemente è anche lui il “reggimoccolo” di qualcuno che voleva lanciarci un sasso senza farsi vedere.

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