venerdì 10 maggio 2013

Il Museo casa mia 2013. La pittura a Trieste nel primo 800: Giuseppe Bernardino Bison e Giuseppe Tominz


Domenica 12 maggio, a Trieste torna l’appuntamento mensile con “Museo casa mia”, le domeniche a ingresso gratuito per i triestini. Al Revoltella, vista la coincidenza con l’uscita della monografia su Giuseppe Bernardino Bison nella collana d’arte della Fondazione CRTrieste, viene proposto un itinerario nell’arte della Trieste neoclassica in cui risaltano le opere di Giuseppe Bernardino Bison (Palmanova 1762 – Milano 1844), pittore eclettico, scenografo e costumista, specializzato nella pittura decorativa allegorica di retaggio settecentesco ed altrettanto efficace anche nelle vedute e nei paesaggi di gusto romantico, e Giuseppe Tominz (Gorizia 1790 – Gradiscutta 1866), ritrattista eccellente e sagace interprete della ricca borghesia imprenditoriale della città. e quelle di Giuseppe Tominz. Entrambi seppero adattare la propria perizia artistica e la propria specifica inclinazione estetica all’ambiente borghese, mercantile e pragmatico della città portuale, incontrando il pieno favore dei collezionisti locali che, per le proprie agiate dimore, richiedevano per lo più paesaggi e vedute, di indubitabile fascino e attrattiva, e ritratti, di se stessi e dei propri familiari, per tramandare ai posteri la loro memoria e testimoniare così il proprio ruolo sociale nella Trieste emporiale.


Giuseppe Bernardino Bison
(Palmanova 1762 – Milano 1844)
La sua formazione artistica ha inizio a Brescia, dove si era trasferito con la famiglia quando era ancora ragazzo. Qui studia disegno con Romani (restauratore) e con Gandini (prospettico). A Venezia, dove risiede dal 1797, sperimenta il chiaroscuro con l’incisore Anton Maria Zanetti il Giovane, segue poi all’Accademia i corsi di Costantino Cedini, seguace del Tiepolo e insegnante di Figura e dello scenografo Antonio Mauro, insegnante di prospettiva. A Venezia conosce molti artisti e, soprattutto, incontra Antonio Selva, che intuendo le doti decorative di Bison, lo conduce con sé a Ferrara, nel 1787, per impiegarlo come ornatista nel palazzo Bottoni. Dopo questa prima esperienza e fino al 1800 Bison si afferma, come frescante, per lo più a Padova e dintorni e nella Marca Trevigiana. Dopo un breve periodo a Udine, giunge a Trieste (1802 circa), dove si stabilisce per un ventennio, lavorando ininterrottamente e con ampio consenso.
A Trieste, oltre a una florida produzione di dipinti ‘da cavalletto’ di grande piacevolezza inventiva e coloristica, è impegnato come scenografo e decoratore di interni in diversi edifici di rilievo, quali Palazzo Carciotti (1805), il palazzo delle Vecchia Borsa (1807), la Chiesa di Santa Maria Maggiore (1816) e Villa Segrè-Sartorio. Durante la permanenza triestina è attivo anche a Zara, a Gorizia, a Lubiana e in Istria. Lascia Trieste nel 1831 e si trasferisce a Milano, dove continua la sua attività artistica fino alla morte nel 1844, spesso in collaborazione con il figlio Giuseppe.
I dipinti del Museo Revoltella
Nelle sale del museo sono esposte le opere più rappresentative del pittore, testimoni del suo linguaggio stilistico vivace e fantasioso, ben evidente nelle tre vedute fantastiche intitolate: PaesaggioPaesaggio con rovine e Tempio romano, in cui l’artista inserisce liberamente elementi architettonici antichi in paesaggi favolosi e di grande suggestione romantica.
Oltre ai capricci di ascendenza tardo settecentesca, si può vedere al centro della sala una splendida veduta di Venezia sotto la neve (Venezia con la neve e le maschere), eseguita all’epoca della permanenza triestina di Bison, in cui è rintracciabile la tradizione del vedutismo veneziano settecentesco, arricchito e vivacizzato dalle figurine in primo piano, cifra stilistica inconfondibile dell’artista palmarino.
Dell’attività in ambito teatrale di Bison non si conserva purtroppo alcuna documentazione (decorò, tra l’altro, un palco al Teatro Nuovo 1807), ma il Museo Revoltella conserva alcuni preziosi dipinti-bozzetti per le scene del Don Giovanni di W. A. Mozart
I 4 bozzetti del Revoltella, rispettivamente preparatori per la scena de Il Duello (Scena Prima Atto I)de La sfida (Scena XV Atto II), de Il convito (Scena XVII Atto II) e de L’inferno (penultima scena del l’Atto II), giunsero nelle collezioni tramite il legato Carlo e Maria Piacere (1940).
A Trieste, l’opera di Mozart fu rappresentata per la prima volta al Teatro Grande il 26 dicembre 1842, quando Bison si trovava già a Milano. Egli fu probabilmente incaricato di curare la scenografia, o meglio, la fase preparatoria mediante la creazione dei “bozzetti” di scena.
I bozzetti, per quanto di piccole dimensioni, sono dei veri “capolavori”.
Possiedono un loro valore tanto dal punto di vista  pittorico che da quello scenografico. Appartengono ancora a questa serie importante di opere di Bison legate al teatro, altre due scene di proprietà del Museo Revoltella:
una seconda versione de L’inferno (olio su tavola, 12x18 cm), di piccole dimensioni ed una piccola tela raffigurante il Ballo in maschera (olio su tela, 26x36 cm), sicuramente da riferirsi alla scena XXI dell’Atto I del Don Giovanni.
 A completare la sala è stato collocato su cavalletto il ritratto che il pittore Giuseppe Tominz, collega più giovane di Bison e suo grande ammiratore, gli dedicò intorno al 1830.

Giuseppe Tominz (Gorizia 1790 – Gradiscutta 1866)


Nato da una famiglia di mercanti originaria della valle del Vipacco, in età giovanile frequentò l’Accademia di Venezia. Grazie alla mediazione dell'arciduchessa Marianna d'Austria, in visita a Gorizia nel 1808, potè recarsi a Roma, ospite del pittore mantovano Domenico Conti Bazzani, professore di pittura a Roma, che gli offrì un appoggio economico per studiare in questa città. Ebbe poi la protezione di un altro mecenate: il conte Giuseppe della Torre Valsassina, che fece lavorare Tominz come copista e restauratore. A Roma, dove frequentò la Scuola di Nudo annessa all'Accademia di San Luca, Tominz condivise l’ambiente artistico con personalità giunte da ogni parte d'Europa (come Ingres, Overbeck e Thorwaldsen) e d'Italia (come Canova, Politi e Hayez) e conobbe direttamente i Nazareni, nella cui arte confluivano ispirazioni mistiche e un estremo rigore stilistico. Assimilò, inoltre, il linguaggio classicheggiante di Batoni, Mengs e Lampi.Attraverso queste esperienze in Tominz si rafforzò l’amore per il disegno marcato e per gli accentuati contrasti chiaroscurali - derivati anche dalla pratica dell’incisione, sperimentata negli stessi anni – anche se non raggiunse mai l’atmosfera tersa e cristallina dei Nazareni e preferì, piuttosto, stesure di colore più morbide e trasparenti velature. Grazie anche all’amicizia con Bartolomeo Pinelli, disegnatore e incisore che “si mise alla ricerca nel mondo popolare dell’etimo classico” (Maltese), Tominz elaborò una lettura del tutto personale dell’antico, fatta di rimandi aulici e ironia bonaria. Dal matrimonio contratto nel 1816 con Maria Ricci, figlia di una domestica di Conti Bazzani, nacque il 1° febbraio del 1818 il figlio Augusto, che seguirà le orme del padre divenendo pittore. Poco dopo, però, in seguito alla morte del suo maestro, Tominz decise di rientrare a Gorizia. Nel viaggio di ritorno fece una sosta a Firenze, dove copiò molte opere alla Galleria Pitti e agli Uffizi. A Gorizia, dopo essersi cimentato come pittore di storia si dedicò con successo al ritratto, all'epoca genere molto proficuo. Nel 1822 nacque il suo secondogenito Raimondo, che diverrà pianista e compositore. All’età di trentacinque anni, artista ormai affermato, Tominz prese domicilio a Trieste, una città che con i suoi 60.000 abitanti stava attraversando una fase di grande sviluppo urbanistico e di prosperità economica.

Fu qui che divenne uno dei più ricercati ritrattisti della facoltosa borghesia
triestina, grazie alla sua straordinaria abilità nel rendere con perfetta somiglianza le fisionomie e il carattere dei committenti, oltre che i loro gioielli, gli abiti, gli accessori e gli arredi. In molti corsero ad ammirare il suo talento in occasione della sua prima mostra personale, tenutasi nel luglio del 1830 alla Sala Miglietti, dove espose una quarantina di ritratti. Nello stesso anno, e nuovamente nel ‘31, Tominz partecipò anche alle Esposizioni annuali di Belle Arti organizzate dalla Società di Minerva. Nel 1835 tenne una nuova mostra personale della Sala del Ridotto, nel teatro cittadino, dove espose più di cinquanta ritratti. In quest’epoca egli aveva già realizzato molti dei suoi lavori più noti: i ritratti delle famiglie Moscon, Buchler, de Brucker e Frussich; il celebre Autoritratto del Museo Revoltella ed altri ancora. Nello stesso 1835 eseguì i ritratti di Giuseppe e Fanny de Toppo, di collezione privata. Quest’ultima, riportando l’esperienza nel suo diario personale scrisse: “egli è molto abile e coglie benissimo la rassomiglianza. Tutti quelli che ha dipinto finora sono tanto riusciti da sembrare realmente presenti sul quadro. Ha sempre molto da fare con gli inglesi, ma bisogna posare tre ore consecutive, poi ancora una volta mezz’ora”. Nei lavori degli anni cinquanta, spesso realizzati in collaborazione con il figlio Augusto, che sarà anche il primo conservatore del Museo Revoltella fino alla sua morte (1872 – 1883), le pose si fecero più rigide e i volti sempre più piatti e inespressivi. A ciò concorse l’influenza esercitata dal mezzo fotografico, che anche a Trieste ebbe grande fortuna. Trascorso il turbinoso Quarantotto a Gorizia, Tominz fece ritorno a Trieste nel 1850, ma vi rimase solo altri cinque anni. La sua vista si era indebolita e con essa anche la possibilità di soddisfare l’esigente committenza triestina. Decise così di abbandonare la città e di ritornare a Gorizia. Visse gli ultimi anni in compagnia del fratello Francesco, nella vecchia villa di campagna a Gradiscutta del Vipacco, dove si spense il 24 aprile 1866.






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